La Self-Mirroring therapy (SMt) si basa sulla recente scoperta dei neuroni specchio nel cervello dei primati, esattamente nella corteccia premotoria dello scimpanzé (Rizzolatti et al. 1996). Questa tipologia di neuroni si attivano quando l'animale muove la sua mano per compiere un'azione o quando osserva un altro scimpanzé compiere la stessa azione. Altri studi nel corso degli anni hanno mostrato come i neuroni mirror siano presenti anche nell'uomo. Gallese (2005) ha utilizzato il concetto di "simulazione incarnata" per definire il meccanismo cerebrale che ci permette di comprendere le intenzioni che stanno dietro alle azioni che osserviamo negli altri. Lo stesso principio guiderebbe la comprensione delle sensazioni e delle emozioni altrui.
Nella SMt il paziente viene messo nelle condizioni di osservare un filmato della seduta stessa in cui si sono attivati specifici meccanismi relazionali e durante la quale ha sperimentato determinate emozioni. La possibilità di osservare queste emozioni e nei casi più complessi di poter entrare in contatto con il proprio Io dissociato, permette al paziente di migliorare la conoscenza dei propri stati mentali e la regolazione emozionale.
Alcuni colleghi utilizzano la SMt affiancandola alla terapia cognitiva (Vinai & Speciale, 2013), mentre noi ci siamo focalizzati prevalentemente sul trattamento dei disturbi dissociativi (Frau et al., 2018).
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